In principio furono i muri d’autore, piuttosto contestati, non da tutti accettati, nè capiti. Lo scemo del villaggio andava in giro a diffondere giudizi a suo modo severi, con frasi come questa: “Mo ‘nguacchiano ‘n’ato muro!” Poi, via via, cominciarono ad essere accettati, graditi. Oggi possiamo dire che i murales di Furore hanno svolto e sempre più svolgono una funzione sociale essendosi rivelati uno straordinario strumento di crescita della comunità. Queste opere d’arte a cielo aperto sono entrate nella coscienza della gente, nella vita delle persone, senza chiedere permesso e ne hanno promosso l’identità. Nel “paese che non c’è” mancava proprio questa. Quanto meno risultava inespressa.
I pittori dei muri dipinti l’hanno scoperta e valorizzata, dando così un’anima ai luoghi. Con la loro fantasia creativa, hanno ricostruito la storia del paese, rivelato il modo di essere dei suoi abitanti, raccontato le loro leggende e i loro cunti, dato forma e immagine ai loro miti e ai loro riti come meglio non poteva avvenire. Questa grande galleria d’arte en plein air con le sue varie espressioni è entrata a far parte della vita dei Furoresi, come un qualsiasi altro oggetto d’uso quotidiano. Fra pitture e sculture si contano, ormai, oltre cento opere. Alcune sono intrise di ironia, altre di commozione, ma il confine fra realtà e immaginazione resta, comunque, molto labile.
Si tratta di opere capaci di conquistare chi le osserva fino ad avvolgerlo, coinvolgerlo e spingerlo in un mondo dove la distinzione fra il vero e il verosimile è pressoché impossibile e, per molti aspetti, inutile. Un panorama con in primo piano una scultura svettante, le case con le pareti affrescate, i colori che sfumano in un tramonto o che si confondono con l’azzurro del cielo e del mare: ecco Furore, “paese dipinto”, che affascina e innamora.
Giacinto Scelsi
